Testimonianza di Don Eusebio Pamparino
TESTIMONIANZE SULLA RESISTENZA
Visto che le testimonianze dei parroci di Calice e Rialto sulla Resistenza hanno riscosso un notevole interesse, ho pensato di fare cosa gradita, anche se non riguardano la comunità calicese, di pubblicare anche quelle dei sacerdoti dei paesi vicini che sono conservate nell’Archivio Storico Diocesano di Savona.
TESTIMONIANZE DI DON EUSEBIO PAMPARINO
Eseguita da Don Pamparino Eusebio, ordinato sacerdote nel Dicembre del 1944, parroco di Feglino.
Gentilmente Concessa da Pamparino Enrico oltre ad parenti ed amici si riconoscono: segno verde Padre Romano da Calice, segno azzurro Don Giusto ed col segno rosso Don Pamparino
Il 5 Settembre 1941, subentrai, come vicario sostituto, a don Bernard, parroco di Feglino. Recatosi in Germania a svolgere ministero di cappellano dei lavoratori italiani.
Dopo l’armistizio dell’8 Settembre del 1943, i soldati abbandonarono la polveriera. La gente corse a svuotare i magazzini: la polvere (balistite) fu sparsa in terra, mentre furono portate via le cassette di legno. Il 10 Settembre (?) i tedeschi fecero raccogliere e trasportare la polvere nel recinto, ma la lasciarono incustodita. Nel Gennaio del ’44 la polvere bruciò. Due ragazzi che stavano giocando nel recinto rischiarono di morire ustionati. La polveriera bruciò tutta la notte. Intervennero i pompieri da Savona. Della polveriera rimase un ammasso di rovine.
Nell’inverno 1943 – 1944 si cominciò a parlare delle formazioni partigiane in montagna: si cercavano i primi collegamenti con la popolazione locale. Si avviavano tra i partigiani i Russiano, sfollati da Torino (il maggiore era ufficiale di marina sui sommergibili). Dopo qualche giorno di esperienza fecero ritorno a casa perché non condividevano le idee e i progetti politici dei capi.
Una notte della primavera del ’44 i partigiani svaligiarono la casa di Maffei Giuseppe, ex segretario del P.N.F. : gli portarono via anche la mula.
I primi contatti con i partigiani li ebbi nell’estate del ’44 (il 25 Luglio del ’43, giorno della caduta del fascismo, ebbi uno scontro verbale con Carlo Pepe, falegname, fascista professo). Alla fine del Luglio 1944 i partigiani fecero la prima azione a Feglino. Verso sera (ore 18-19) catturarono appunto Pepe Carlo, che era informatore delle formazioni fasciste, alle quali sembra che mi abbia segnalato come antifascista. Dopo che lo ebbero catturato, i partigiani passarono sotto la canonica e il Pepe urlando, mi domandò (ero infatti lì presente) di intercedere a suo favore. Tutto però fu inutile. Il Pepe fu ucciso la sera stessa o il giorno dopo. La salma fu recuperata in pessime condizioni solo quindici giorni dopo. Celebrai regolari funerali religiosi.
Autunno 1944, sulle alture di Feglino è accampato il distaccamento delle Brigate Garibaldine “Pippo Rebagliati”. Al comando del gruppo vi era il Tigre (Genesio Rosolino). Il commissario politico era jugoslavo, Bjlekovic Mihailo, detto Michele; l’ufficiale di operazione era un certo M. Bonomo di Calice Ligure, detto Faro.
gruppo di partigiani La donna con pistola e cinturone è Angela Spirito, alla sua sinistra Genesio Rosolini “ Tigre”
Mi capitava di ospitare in casa dei commercianti di Finale che, costretti dal ricatto, venivano a portare soldi e viveri ai partigiani. Attendevano in canonica la venuta dei partigiani, dopo di che scendevano in piazza a trattare.
Ero indiziato come antifascista. Il fatto che mi ha messo in questa condizione è il seguente. Nel 1944 fui abbonato da una persona di Finale al giornale fascista “Crociata Italica”, diretto dall’arciprete della Cattedrale di Cremona, don Calcagno. Il giornale era sostenuto da Farinacci. All’arrivo del giornale lo respinsi, facendo notare che non ricevevo nessuna pubblicazione priva dell’autorizzazione ecclesiastica. Nel numero seguente, e per più volte, il giornale pubblicò un trafiletto in cui si accennava ad un prete ligure che aveva respinto il giornale patriottico. Lo stesso giornale mi arrivò di nuovo con il trafiletto ben marcato, in cui, oltre alle minacce c’era scritto: “credete di essere un antifascista invece siete uno sporco inglese”.
Il 17 Ottobre ’44 i San Marco compiono un rastrellamento in conseguenza ad un colpo di mano dei partigiani avvenuto nella notte tra il 16 e 17 Ottobre. L’intenzione dei partigiani era quella di svaligiare un magazzino di viveri a Finalborgo. Purtroppo per sbaglio o per paura, vi fu una sparatoria tra gli stessi partigiani: uno di essi morì e venne lasciato sul posto, mentre un ragazzo di Feglino, Carlo Durante, facente parte della S.A.P., fu ferito gravemente e fu portato via.
La mattina del 17 Ottobre fui avvisato del fatto, e andai a trovare il ferito che era stato trasportato in casa sua e medicato alla meglio. Compiuto il mio dovere di prete, uscii dalla casa del ferito. Nel frattempo i S. Marco, che erano di istanza a Calice, avevano iniziato il rastrellamento alla ricerca del ferito. Avvisai i familiari del ferito, i quali barricarono il ferito nella stessa casa. A sua volta corsi in canonica e qui fui raggiunto dai S. Marco. Per prima cosa smentii che vi fossero tranelli in canonica, dopo di che li feci entrare a sedere, e fui interrogato da alcuni ufficiali. Alla domanda di come stessero i miei parrocchiani, affermai che i miei fedeli stavano bene e negai che vi fossero dei malati. Tra l’altro ribadii che come prete non dovevo rendere conto a nessuno del mio ministero. Al ché venni minacciato dai S. Marco, che si limitarono però alle parole. Terminato l’interrogatorio uscirono e andarono alla ricerca del malato. Chiusi la chiesa e mi recai in campagna e attesi che i S. Marco se ne andassero. Una volta che il paese fu sgombrato scesi alla casa del ferito e trovai che era morto. Fu seppellito di notte il giorno dopo alle ore 22, recitando le esequie al chiaro di una lanterna. Il 31 Ottobre, durante un rastrellamento si presentarono alla canonica i Tedeschi e i S. Marco per alcuni accertamenti. Un sottoufficiale tedesco controllò il registro dei morti, ma su esso non trovò riportato il decesso del ragazzo. Intenzionalmente non avevo scritto nulla. Terminato l’accertamento i soldati se ne andarono.
Controbanda al centro il Tenente Costanzo Lunardini
Il 16 Novembre vi fu un nuovo rastrellamento. Ero a Finalborgo a mangiare dai miei parenti. Al ritorno incontrai i S. Marco che mi comunicarono che in località “Frascie” di Feglino vi erano dei morti. Nella mattina i fascisti erano saliti a Feglino e avevano trovato i partigiani imboscati sopra il bricco. Riuscirono ad ucciderne sette. Dei morti riconobbi Bruzzone Mario e Quartino Mario. Il giorno dopo scesi a Finale e per mezzo di don Lagasio avvisai i genitori degli uccisi. Questi si interessarono al recupero delle salme: avuta la cassa, presero i loro cari defunti. Gli altri cinque furono seppelliti in una fossa comune. Recuperai i loro corpi un mese dopo, aiutato da una sola persona, un comunista e li seppellii nel cimitero di Feglino.
In questo scontro tra partigiani e fascisti vi era stato un partigiano ferito. Questi era stato trasportato alle “Giarutte” e curato. Quando andai a visitarlo, trovai ad assisterlo un certo Risposi Cesare di Castel S. Giovanni (anni 21). Il giorno dopo andai a Finale e appresi da don Lagasio che un uomo cercava suo figlio, disertore dei S. Marco. Il figlio era appunto Risposi Cesare. Il padre se ne era già andato. Il giorno dopo mi recai all’accampamento partigiano e avvisai il Risposi. Il 1° Gennaio 1945 il padre del Risposi arrivò a Feglino. Il figlio venne avvisato, e, sceso dall’accampamento, restò in canonica con il padre. Dopo due giorni si separarono: il padre tornò a casa e il figlio con i partigiani. Alla fine di Gennaio (l’inverno era freddissimo) arrivarono di nuovo a Feglino il padre del Risposi con la madre e la sorella di un altro partigiano, un certo Bussolati Camillo di Piacenza (nome di battaglia Gegge, anni 20). Mandati a chiamare gli interessati presso i partigiani scesero alla canonica. Il padre del Risposi e i due giovani furono alloggiati in canonica, le due donne in un’altra casa. Dopo essere rimasti due giorni insieme si separarono e ognuno andò per la sua strada. Il giorno dopo (2 Febbraio 1945), al mattino presto i partigiani, per tradimento di uno di loro (un certo Tarzan), furono sorpresi nell’accampamento dai nazifascisti: ne morirono undici, tra essi il Risposi e il Bussolati. Il motivo del rastrellamento era stato la cattura da parte dei partigiani di un S. Marco e di due Tedeschi. Il primo fu ucciso, gli altri due erano tenuti come ostaggi in vista di un eventuale scambio. (Chi faceva da intermediario fra i partigiani e i fascisti per i cambi di persona era un certo P. Giacomo Cappuccino). Durante l’assalto all’accampamento alcuni partigiani riuscirono a scappare. Presi di sorpresa molti fuggirono quasi senza vestiti e scarpe e furono costretti a camminare a piedi nudi sulla neve per parecchie ore. Un gruppo di partigiani scese verso il casotto di Feglino dove erano prigionieri i Tedeschi e li uccisero. Dopo di che entrarono in paese e vennero prima di tutto da me e mi domandarono aiuto. Diedi la mia coperta: venni poi imitato dagli abitanti del paese.
I Tedeschi, appresa la morte di 2 dei loro, minacciarono una rappresaglia sugli abitanti di Feglino. Anche il generale Farina intervenne il giorno delle Ceneri, minacciando rappresaglie. P. Giacomo mi consigliò di andare ad Altare presso il comando dei S. Marco, dal generale Farina, per intercedere a favore del paese. Il giorno di Carnevale partii per Altare. Partirono anche il Podestà e il vice Podestà di Feglino seguendo però altre strade. Prima di salire ad Altare mi recai dal vicario, che mi consigliò, pure lui, di andare dal Farina: se non fossi ritornato, il vescovo avrebbe iniziato delle ricerche. Giunto ad Altare, andai dal generale Farina con le due autorità di Feglino e qui esposi la situazione del paese: assicurai soprattutto che la popolazione era innocente e che non parteggiava per nessuno, e che tutt’al più si limitava ad aiutare se costretta. Il Farina, pur andando in escandescenze si limitò a minacciare che se fosse successo qualcosa d’altro avrebbe fatto bombardare il paese, però per quella volta non fece nulla. Dopo essere stato congedato andai a fare il mio rapporto al vicario, e ritornai quindi al paese. Dopo l’incontro con il Farina la vita mi divenne più difficile. Venni avvertito da un S. Marco che ero in pericolo, ma che lui mi avrebbe avvisato in caso di pericolo.
di San Marco a Calice
Il 18 Marzo 1945, Domenica di Passione, mentre celebravo la S. Messa, (ore 10,20) iniziò il cannoneggiamento su Feglino con batterie da 75, poste sulle alture di Calice Ligure. Il motivo del bombardamento era perché i partigiani avevano prelevato un S. Marco sulla strada di Calice. Molta gente si rifugiò in chiesa. Una donna di Finalmarina venuta occasionalmente a Feglino per provare un vestito, fu uccisa da una scheggia, presso la Cappella di S. Rocco. Rimase ferito anche un ragazzo che fu operato al S. Corona e guarì.